
“Il campo dei santi” di Jean Raspail, pubblicato nel 1973 in Francia, è un romanzo distopico ambientato negli anni Novanta, quindi venti anni dopo la pubblicazione, quando un’orda di immigrati provenienti dall’India si impossessa di una nave per sbarcare sulla Costa Azzurra dove trovano l’accoglienza da parte delle componenti cattoliche e la remissività delle istituzioni democratiche dietro il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, cosi “L’uomo di colore scruta l’uomo bianco mentre questi discorre di umanità e di pace perpetua. Ne fiuta l’incapacità e l’assenza di volontà di difendersi.”
Si crea dunque il terreno fertile per l’invasione vera e propria; da lì a poco arriverà un altro milione di indiani che, approfittando dell’impotenza dell’esercito francese, del politicamente corretto delle istituzioni e della crisi dei valori religiosi e civili dell’Occidente, finiranno per sostituirsi, come classe dirigente, a quella autoctona e sottometteranno i francesi sottoponendoli a massacri, torture, e violenze di ogni tipo.
Il romanzo è divenuto un cult della destra francese e dell’intero Occidente. Steve Bannon si dichiara un appassionato lettore di Raspail e nei suoi discorsi politici fa ampi riferimenti al romanzo, così come in Francia Marine Le Pen, mentre da questa settimana il romanzo viene pubblicizzato in Italia come allegato a “La Verità” e “Panorama”, due giornali di centro-destra .
Sostituzione o integrazione etnica? Il romanzo dunque mette in guardia dai pericoli di una immigrazione massiccia che può concludersi con una vera e propria sostituzione etnica e di civiltà.
In realtà, se guardiamo alla Storia, l’unico esempio di sostituzione etnica è stata attuata dagli europei nelle Americhe, specie nell’America del Nord dove l’immigrazione dal Vecchio Continente è stata più massiccia provocando la ghettizzazione degli autoctoni a seguito della famigerata conquista del West.
In tutti gli altri casi, anche le vere e proprie invasioni militari, hanno dato luogo a integrazione etnica. Ripercorriamo velocemente i momenti storici più significativi prendendo come esempio la nostra Italia.
La romanizzazione
A partire dal VII secolo a.C. i Romani cominciarono la loro espansione lungo la Penisola giungendo in Abruzzo nel IV secolo e ai confini naturali nel II secolo a.C. In questa azione di conquista sottomisero le popolazioni italiche come i Sanniti, gli Etruschi, i Celti, ecc. Come sempre accade ci fu un osmosi culturale.
Certamente la lingua “nazionale” divenne il latino così come il diritto fu quello romano che travalicò secoli di Storia, ma la contaminazione avvenne sul piano culturale e delle credenze religiose, si pensi al Pantheon.
Ma l’esempio più eclatante di osmosi culturale fu quello che si registrò a seguito della conquista romana della Grecia avvenuta definitivamente nel 146 a.C. A questo proposito Orazio scrisse: “La Grecia conquistata, conquistò il selvaggio vincitore.” In altre parole, i Romani conquistarono militarmente la Grecia, ma i greci conquistarono culturalmente Roma.
Le invasioni barbariche, o meglio germaniche
Tutti i libri di Storia riportano che nel 476 d.C. Odoacre entrò a Ravenna con il suo esercito e depose l’ultimo imperatore romano: Romolo Augustolo. Egli poi, anziché proclamarsi imperatore, inviò le insegne imperiali a Bisanzio e fu dichiarato dal Senato Patrizio dei Romani.
E’ l’atto che sancì la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Nel 488, su ordine dell’imperatore d’Oriente Zenone, Teodorico, re dei Goti, invase l’Italia con al seguito non solo un esercito ma un’intera popolazione forse di trecentomila persone. Fu la prima invasione di popoli germanici
che si stanziò in Italia. A seguito della guerra Greco-gotica, tra bizantini e goti, l’Italia cadde sotto il dominio di Bisanzio e vi restò per appena quindici anni perché nel 568 ci fu l’invasione dei Longobardi che giunsero alla testa di una intera popolazione di duecentomila persone.
Nel 756 l’Italia fu strappata ai Longobardi dal franco Pipino il Breve, padre di Carlo Magno. Nell’827 gli arabi cominciarono la conquista della Sicilia che divenne nel 965 Emirato.
Nel 1059 nell’Italia Meridionale arrivarono i Normanni, popolazione proveniente dalla Scandinavia stanziatasi inizialmente nel nord della Francia, l’attuale Normandia.
Insomma nell’anno Mille l’Italia è abitata, da nord a sud direttamente o come discendenti, da Goti, Longobardi, Franchi, Tedeschi, Bizantini, Arabi, Normanni e le pre-esistenti popolazioni romane.
Le conseguenze di tutte queste dominazioni sono ben rintracciabili, oltre ovviamente nell’arte e nell’architettura, anche nella lingua. Parole come bianco, guerra, albergo sono di origine longobarda o, più in generale, germanica; zafferano, zero, almanacco, limone provengono dall’arabo e via discorrendo.
Le dominazioni nel basso Medioevo e in età Moderna.
L’Italia continuò ad essere terreno di conquista anche nei secoli successivi. Tra il XII e XIII secolo ci fu quella sveva con Federico Barbarossa prima e Federico II dopo; poi vennero gli Angioini (Francesi) a cui seguirono gli Aragonesi (Spagnoli); di nuovo i Francesi di Carlo V; poi gli Austriaci; i Borboni di Spagna; i Napoleonici.
Nel corso del Cinquecento l’Italia aveva assistito ad un’altra massiccia immigrazione proveniente dalla penisola balcanica che vide la fuga di migliaia di croati, albanesi e serbi a seguito dell’avanzata delle truppe ottomane che nel 1529 arrivarono fino a Vienna. A testimonianza di tale emigrazione vi sono i vicini paesi di Ururi, Portocannone e Montemitro
dove ancora oggi la popolazione parla rispettivamente l’albanese e il croato.
Discendiamo dagli antichi romani? Per secoli e, in buona parte ancora oggi, ci si illude che siamo i discendenti degli antichi
Romani. Mussolini, in quanto capo dei discendenti diretti di quella gloriosa stirpe italica, attinse a piene mani dalla simbologia latina: il fascio littorio, il saluto romano, l’aquila imperiale, l’appellativo di Dux e via dicendo. Abbiamo invece visto che in duemila anni di storia nel genoma delle popolazioni italiche sono finiti geni di decine di popolazioni che una volta venivano definite barbariche. A questo proposito una prova viene dalla genetica delle popolazioni. Il gruppo sanguigno B è tipico delle popolazioni asiatiche e pare che sia entrato in occidente durante le grandi invasioni del IV e V secolo, come per esempio quella degli Unni. Tanto è vero che il gruppo B diminuisce nella popolazione europea man mano che si procede verso ovest: in Portogallo, non raggiunto dalle popolazioni asiatiche, è ai minimi mentre in Italia ben il 17% della popolazione ha il gruppo B, tradotto in numeri oltre dieci milioni di Italiani discenderebbero dai barbari.
La etno-diversità come ricchezza
Tutto questo mosaico di contaminazioni genetiche e culturali oggi fanno dell’Italia un unicum nel panorama globale. Così il nostro Paese oggi detiene il 60% del patrimonio artistico mondiale; il record dei “patrimoni dell’umanità” catalogati dall’UNESCO (60 siti contro i 57 della Cina); la più grande varietà gastronomica (dai cannoli siciliani mutuati dagli arabi; al sanguinaccio e mostarda longobardi; dalla pasta con le sarde bizantina alla frocia normanna; dal ragù francese alla scapece spagnola). A questi prodotti si deve aggiungere la fantasia intellettuale che ci ha assicurato un primato nel campo della moda, del design, dell’agro-alimentare e nella meccanica.
Concludendo
Quando i politici dicono che la “cittadinanza italiana” è una cosa seria che non si può dare facilmente, sono semplicemente ridicoli perché la “unicità” italiana è appunto il risultato di decine di secoli di immigrazioni “pacifiche” o “belliche”. L’Italia, come abbiamo già visto, è il paese europeo che ha subito maggiori commistioni etniche con gli ottimi risultati che abbiamo appena menzionati.
Laura Del Casale