Era il 19 settembre del 1985 quando nella casa di Siena un’emorragia cerebrale portò via uno degli scrittori più importanti del Novecento italiano. Avrebbe compiuto 62 anni il mese successivo, morì mentre stava preparando alcune lezioni per l’Università di Harvard dove avrebbe dovuto relazionare. Tali scritti saranno raccolti in un volume e pubblicato postumo con il titolo di “Lezioni americane”.
Dal neorealismo alla letteratura fantastico-allegorica
Come Fenoglio, Pavese, Vittorini ed altri suoi contemporanei, le prime opere di Calvino appartengono al filone neorealistico collegato alla Resistenza, testimonianza di questa fase è “Il sentiero dei nidi di ragno”. Un genere da cui presto si distaccherà per abbracciarne uno a dimensione fantastica ma caratterizzato da allegorie che continuano a fare di Calvino un autore impegnato politicamente ed eticamente. Stiamo parlando della famosa Trilogia de “I nostri antenati” con i romanzi “Il visconte dimezzato” (1952), in cui si narra della doppia personalità degli esseri umani; “Il barone rampante” (1957) che esplora temi come la libertà, la ribellione, il rapporto tra uomo e natura e la ricerca del significato della vita, ma anche del ruolo dell’intellettuale che deve tenersi lontano dal potere per non esserne corrotto; “Il cavaliere inesistente” (1959) pone invece il problema dello straniamento dalla realtà concreta di alcuni intellettuali il cui pensiero si tinge di una razionalità inutile, perché appunto sganciata dalla fattualità. A proposito di straniamento, alienazione e incomprensione della realtà moderna caratterizzata da continue contraddizioni, nel 1963 esce il romanzo “Marcovaldo, ovvero le stagioni in città”.
Il post-moderno dell’ultimo Calvino
L’opera che però consacra Calvino come autore internazionale è “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979) dove emerge un forte pessimismo, vale a dire l’ impossibilità di dare senso e razionalità ad una realtà caotica, frammentata, contraddittoria. Insomma la realtà è un labirinto all’interno del quale ci illudiamo di poter trovare la strada che conduce alla verità o ad un messaggio etico. Per Calvino infatti siamo di fronte alla sconfitta della ragione di stampo illuministico, quella appunto che si illudeva di poter ordinare e rischiarare una realtà oscura dominata dall’ignoranza, dalla superstizione, dal fanatismo e dalle passioni. Di fronte a tutto questo, la stessa letteratura è impotente e perde ogni funzione edificante fino a smarrirsi nella propria autoreferenzialità.
La triste attualità della sua poetica
Insomma ci troviamo di fronte ad una poetica attualissima in un Occidente in evidente crisi economica e di valori, un Occidente che ha tradito la tradizione cosmopolita ed illuministica creando giudizi e pregiudizi a doppi standard (due pesi e due misure). Un Occidente che alimenta nei suoi cittadini innumerevoli paure facendo leva sugli istinti più atavici, come la paura nei confronti dello straniero, del diverso, di quelli che vogliono invaderci, che sono arrivati per affamarci , per violentare le nostre donne e convertirci alla loro religione. Paure ataviche con radici che affondano nel cosiddetto cervello rettiliano, la parte più antica dell’encefalo, responsabile delle funzioni di base come la respirazione, il battito cardiaco, l’istinto di sopravvivenza e i comportamenti legati alla fame, alla sete e all’aggressività.
Ecco, il 40° della scomparsa di Calvino, potrebbe essere l’occasione per riscoprire l’amara attualità delle sue opere.
Laura Del Casale