mercoledì, Dicembre 3

La situazione degli ecomusei in Italia: quanti sono e dove si trovano

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Gli ecomusei in Italia, secondo l’Atlante degli Ecomusei, sono oltre 260 e si distribuiscono in tutto il paese con riconoscimenti formali in almeno 12 Regioni. Questi dati attestano la presenza di una rete capillare che unisce comunità, paesaggi e patrimoni locali in un modello museale partecipato e diffuso. La crescita esponenziale degli ecomusei è accompagnata da leggi regionali, come quella del Piemonte del 2018, che definisce gli ecomusei strumenti culturali di interesse generale orientati allo sviluppo sostenibile e alla partecipazione delle comunità locali.​
In questo articolo vedremo cosa sono gli ecomusei, come sono distribuiti e perché sono importanti.

Che cos’è un ecomuseo

L’ecomuseo è un’istituzione culturale “all’aperto” che tutela e valorizza patrimonio naturale, storico-artistico e i saperi del territorio attraverso percorsi, attività didattiche e ricerca e con il coinvolgimento diretto di cittadini, associazioni e istituzioni locali. La definizione riprende la visione internazionale elaborata da Georges-Henri Rivière e Hugues de Varine nel 1971 alla IX conferenza del consiglio internazionale dei musei e tradotta in Italia in un approccio che supera il museo‑contenitore, facendo del paesaggio e della comunità i veri “oggetti” della cura e della narrazione condivisa.​

Quanti sono e dove

Secondo dati aggiornati fino al 2024, le realtà che si definiscono ecomuseo in Italia sono 264, e attraverso un Atlante disponibile online, si può verificare la loro distribuzione, dalle aree alpine alle coste e alle città. Il riconoscimento normativo dell’ecomuseo è presente in dodici Regioni o Province autonome, tra cui Piemonte e Lombardia, con registri e bandi dedicati che sostengono reti locali e progetti di valorizzazione. La diffusione riguarda contesti rurali, montani e urbani: nel Lazio, ad esempio, l’Organizzazione Museale Regionale include 13 ecomusei accreditati, a testimonianza di una pluralità di paesaggi culturali e modelli gestionali.​ A proposito di modelli gestionali e di promozioni di azioni a difesa del patrimonio materiale e immateriale, si può citare il recente riconoscimento dell’Ecomuseo Casilino di Roma come ONG per la salvaguardia di tradizioni orali, riti collettivi, saperi popolari e artigianato da parte dell’Unesco.

Le funzioni degli Ecomusei e l’impatto sulla collettività

Gli ecomusei operano come processi partecipativi di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio, promuovendo educazione ambientale, sviluppo locale e cittadinanza attiva secondo il Manifesto strategico della rete italiana. Le attività vanno dalla conservazione diffusa alla co-progettazione con scuole e realtà produttive, generando ricadute sociali ed economiche e contribuendo agli obiettivi di sostenibilità e transizione ecologica dei territori. Le leggi regionali pongono l’accento su approccio interdisciplinare e utilità sociale, favorendo strumenti come mappe di comunità e accordi di cooperazione tra enti pubblici e soggetti privati.​

Lavorare in un ecomuseo: la formazione

Lavorare in un ecomuseo richiede competenze multidisciplinari in ambito culturale, educativo e ambientale, oltre a capacità di facilitazione e progettazione partecipata maturate sul campo e in percorsi accademici coerenti. Attivarsi nei servizi culturali e socio-educativi comporta un percorso di studi strutturato, che prevede il conseguimento della laurea. Oggi sono disponibili opzioni sia in presenza sia a distanza che agevolano l’accesso alle istituzioni pubbliche e private legate all’ambiente e alla cultura, come i corsi di scienze della natura o scienze della formazione primaria online, per esempio. La formazione universitaria erogata anche in modalità telematica dagli atenei italiani riconosciuti dal MUR, come Unicusano, offre corsi nell’area educativa che supportano sbocchi professionali nella mediazione culturale, nell’educazione al patrimonio e nei servizi territoriali.

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