
Il 21dicembre 1375 si spense a Certaldo Giovanni Boccaccio dove era nato 62 anni prima, nel 1313. Insieme a Petrarca, di cui fu grande amico, è considerato antesignano dell’umanesimo poiché spostò la riflessione letteraria dalla religione all’uomo ponendo fine alla letteratura medioevale fondamentalmente teocentrica (Divinae litterae) e aprendo la strada ad una visione antropocentrica dell’esistenza e dunque all’umanesimo (Humanae litterae).
Una visione naturalistica dell’esistenza: Il Decameron
Composto tra il 1349 e il 1353, il Decameron è una raccolta di cento novelle raccontate da un gruppo di giovani che si rifugia fuori Firenze per sfuggire alla peste nera. Già qui notiamo un atteggiamento naturalistico se lo paragoniamo al Fra Cristoforo dei Promessi Sposi che, durante la peste del 1630, si prese cura dei malati fino ad esserne contagiato e morire. Una morte che per il cristiano introduce alla vera vita, quella eterna. Invece le sette ragazze ed i tre ragazzi del Decameron amano la vita terrena, così, anziché restare a Firenze per prestare aiuto agli appestati, fuggono dalla città per sottrarsi alla morte, al dolore e alla disperazione. Trovano quindi rifugio in un casolare di campagna dove, per evitare la noia, decidono di raccontare ogni giorno dieci novelle inerenti un tema fissato in precedenza.
Ingegno e sopravvivenza
Nelle novelle del Boccaccio l’uomo viene riposizionato nel suo alveo naturale dove i valori religiosi come la castità, la temperanza, la paura del peccato e della “carne” vengono sostituiti dai nuovi valori borghesi, di quella borghesia mercantile fiorentina che, dopo una vita di sacrifici trascorsa in giro per il mondo allora conosciuto, non considera più peccaminoso godersi le proprie ricchezze, magari sposando una donna più giovane che possa dargli un erede, accumulate con fatica ed ingegno. Ecco una delle parole -chiave della rivoluzione del Boccaccio: l’ingegno che è la capacità di tirarsi fuori dai guai e di trasformare una sventura in fortuna, come nella famosa novella di Andreuccio da Perugia.
La natura che vince sempre
Nel capolavoro boccaccesco la natura, intesa come depositaria degli istinti fondamentali per la sopravvivenza e la perpetuazione della specie (fame, sete, sesso e autoconservazione), è la vera protagonista. Nei personaggi del Boccaccio essa si presenta come una forza insopprimibile, che vince sempre. Nessuno riesce a resisterle: prelati, suore, vescovi e cardinali si piegano di fronte al richiamo sessuale (Le braghe della badessa); l’intelligente insidia e seduce la moglie dello sciocco (Peronella); il furbo si prende gioco dello scemo del villaggio per poter soddisfare la crapula (Calandrino incinto), e via discorrendo. Come si vede, i protagonisti di queste novelle vivono molto poco cristianamente e si prodigano per sopravvivere al meglio, anche a danno di quelli meno furbi e intelligenti.
L’opera dunque rappresenta una rivoluzione nella letteratura: Boccaccio rompe con la tradizione medievale della letteratura allegorica e religiosa, dando voce a personaggi realistici, con passioni, vizi e virtù.
Umanesimo e filologia
Oltre alla narrativa, Boccaccio fu uno studioso raffinato. Appassionato di studi classici, contribuì alla riscoperta di autori antichi e alla diffusione dell’umanesimo in Italia, così come aveva fatto Francesco Petrarca. La sua opera Genealogia deorum gentilium dimostra l’attenzione alla mitologia e alla cultura classica, con una metodologia che anticipa le ricerche filologiche rinascimentali.
La crisi religiosa
Sul finire della propria esistenza, Boccaccio ebbe una crisi religiosa. Egli infatti si pentì del suo capolavoro che se da un lato ebbe immediatamente successo tra i lettori borghesi, dall’altro fu subito accolto con sospetto dalla Chiesa del tempo che criticò aspramente i contenuti licenziosi e l’anticlericalismo di Boccaccio, il quale denunciava l’ipocrisia e la corruzione morale del clero, pur mantenendo un rispetto per la religione autentica, ma condannando la Chiesa come istituzione corrotta e immorale. In questo profondo travaglio interiore, durante il quale pensò persino di bruciare il suo capolavoro, Boccaccio prese gli ordini minori e si ritirò a Certaldo per dedicarsi a opere di carattere dottrinale in latino, segnando un distacco dalla sua produzione più mondana e una ricerca di redenzione spirituale.
L’aiuto dell’amico Petrarca
L’autore che cantò l’amore per Laura era stato anche lui travagliato da sensi di colpa per il suo Canzoniere dove si parlava dell’amore per una donna reale, lontanissima dalla Beatrice dantesca, descritta nella sua bellezza corporale: occhi, capelli, seno e persino fianchi. Petrarca visse un costante dissidio interiore tra l’aspirazione alla purificazione spirituale e l’attrazione per i beni terreni, come la gloria letteraria e l’amore per Laura, oscillando tra l’ideale ascetico e i piaceri mondani. Ciò nonostante era riuscito a trovare un equilibrio, seppur precario, proprio nelle Humanae litterae. Così egli convinse Boccaccio a non bruciare il Decameron, valorizzando la cultura classica e umanistica e fornendo un forte sostegno morale durante i suoi dubbi, specialmente riguardo all’abbandono degli studi profani, spingendolo a vedere la scrittura come un’attività nobile e non peccaminosa.
Ad ogni modo due secoli più tardi, precisamente nel 1559, il Decameron finì all’Indice dei libri proibiti.
Laura Del Casale














