giovedì, Luglio 17

Il Partito Socialista abruzzese: “Bisogna tornare al piacere del confronto”

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Viviamo un tempo complesso. Una delle difficoltà più grandi – forse la più grande – è distinguere la verità  dalla narrazione, i fatti dalla confusione. In un’epoca tecnologicamente avanzata, sembra che si sia smarrito  il piacere dell’approfondimento, del confronto vero, anche con chi la pensa diversamente. Non si chiede a  nessuno di essere esperto in tutto. Ma il minimo che dovremmo esigere da noi stessi, come cittadini, è la  capacità di ragionare, di formarsi un’opinione consapevole, fondata.

E invece no: la superficialità delle  informazioni prese online ci illude di sapere, ci fa credere di avere la verità in tasca, mentre spesso ci  muoviamo in un mondo parallelo, costruito su algoritmi e conferme di comodo. Tutti lamentano la  crescente astensione alle urne. Ma pochi si interrogano davvero sulle ragioni profonde di questa rinuncia.  Forse perché anche chi dovrebbe ascoltare, coinvolgere, proporre soluzioni, si affida ormai solo ai post, alle  stories, agli slogan digitali.

Quanti dibattiti pubblici, incontri reali, assemblee politiche abbiamo visto negli  ultimi dieci anni? Pochissimi. Si fa più politica nei gruppi WhatsApp che nelle piazze o nei circoli. Le uniche  riunioni in presenza sembrano essere quelle condominiali – spesso con delega, anche lì.

L’8 e il 9 giugno  scorsi siamo stati chiamati a votare su cinque referendum importanti: quattro sui diritti fondamentali del  lavoro, uno sulla cittadinanza. Vi ha partecipato poco più di 15 milioni di persone. Troppo pochi rispetto ai  25,5 milioni necessari per la validità. Un disastro civico, prima ancora che politico. Ma nessuno, finora, ha  avuto il coraggio di aprire una riflessione seria su cosa sia successo. E purtroppo non si tratta di  un’eccezione: anche nelle elezioni politiche, regionali e comunali il calo della partecipazione è evidente e  drammatico.

Forse abbiamo disimparato a “collettivizzare” i problemi. Forse ci affidiamo più ai “like” che al  contatto umano, più all’apparenza social che alla sostanza del confronto. I promotori dei referendum non  sono gli unici sconfitti.

Certo, possono aver peccato di presunzione, pensando che il solo nome  dell’organizzazione promotrice – il “brand” – fosse sufficiente a mobilitare le coscienze. Magari si è pensato  che costruire alleanze, spiegare nel merito le ragioni, fosse tempo perso. Ma non è mai così, soprattutto  quando si parla di democrazia diretta. E se anche quei referendum fossero passati, i problemi non si  sarebbero risolti automaticamente. Si trattava, ricordiamolo, di referendum abrogativi: avrebbero richiesto  comunque un lavoro successivo, una ricostruzione legislativa.

Ora che la consultazione è fallita, vogliamo  dire che è colpa di chi “non ha capito”? Vogliamo archiviare il tema dei diritti del lavoro e della cittadinanza  solo perché la risposta è stata insufficiente? Serve una riflessione vera. Non per puntare il dito – anche se  ogni tanto un bilancio sarebbe utile – ma per decidere cosa fare adesso. Perché il rischio concreto è che  questo flop venga usato come pretesto per restringere ulteriormente gli spazi di democrazia diretta:  rendere più difficile la raccolta firme, lamentare i costi “eccessivi” per lo Stato, e così via. Il tutto condito  dalla solita retorica securitaria, paternalista, autoritaria.

Noi socialisti non ci stiamo. Rifiutiamo la logica  dell’arretramento. Rifiutiamo il silenzio. E soprattutto rifiutiamo di sostituire il confronto con la  propaganda. A chi ci cerca sui social, diciamo chiaramente: non è lì che ci troverete. Ci troverete dove si  discute, dove si costruisce, dove si lotta insieme. Anche – e soprattutto – se la pensate diversamente da  noi. 

Il Partito Socialista Abruzzese

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