mercoledì, Settembre 24

Manicomio, carcere e salute mentale: l’illusione delle risposte istituzionali

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Il manicomio e il carcere condividono la stessa logica: sono luoghi che segregano e, così facendo, producono sofferenza invece che curarla. Lo abbiamo imparato con i manicomi, dove il controllo ha preso il posto della terapia e l’istituzione ha finito per ammalare le persone più di quanto non le guarisse. Lo vediamo ancora oggi con il carcere, che in sé rappresenta un contesto patogeno: chi vi entra sperimenta il crollo della propria identità, la rottura dei legami, l’assenza di stimoli e di prospettive. Non sorprende che ansia, depressione, autolesionismo e psicosi reattive siano così frequenti dietro le sbarre.

Per questo parlare di salute mentale in carcere non può significare evocare la pericolosità sociale del detenuto o cercare soluzioni settoriali. È un diritto universale: ogni persona ha diritto a essere curata non solo per le patologie preesistenti, ma anche per quelle che il carcere stesso determina.

Eppure, nel dibattito ricompare ciclicamente l’idea di risposte “speciali”: gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari prima, le REMS oggi. Ma questa è un’illusione. Gli OPG hanno fallito perché erano essi stessi fabbriche di malattia. Le REMS, pur rappresentando un passo avanti sul piano dei diritti, rischiano a loro volta di trasformarsi in un confine istituzionale, in una nuova gabbia. Pensare che possano essere la soluzione significa non avere compreso che la salute mentale non può essere organizzata a compartimenti stagni.

La salute mentale è una rete, non un recinto. È fatta di servizi territoriali, di comunità, di relazioni, di progetti individualizzati calati sul caso e sul contesto specifico. Non esiste un modello unico valido per tutti: esistono percorsi personalizzati che tengono conto della persona, della sua storia, delle sue possibilità di reinserimento.

Chi continua a catalogare, a definire a priori chi debba stare dentro o fuori da una struttura, chi confonde la funzione del carcere con quella della cura, commette un errore grave. Così facendo tradisce il senso stesso della psichiatria, che non è sorveglianza né custodia, ma accompagnamento, sostegno e restituzione di dignità.

Abbiamo imparato che il manicomio non curava. Oggi dobbiamo avere il coraggio di dire che il carcere e le sue “derivazioni psichiatriche” non possono da soli garantire salute mentale. La vera risposta è una rete viva, diffusa, che veda nella comunità il primo luogo di cura e non nell’istituzione chiusa l’ultima trincea.

Alessandro Gentile (in foto)

(Psichiatra e Psicoterapeuta, presidente nazionale dell’Associazione Italia Residenze/Risorse Salute Mentale Direttore Csm/Spdc Termoli)

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