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Pier Paolo Pasolini: a 50 anni dalla morte dell’intellettuale scomodo le sue analisi si rivelano profetiche e tristemente attuali

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Pier Paolo Pasolini è stato uno degli intellettuali più controversi, provocatori ed eclettici del XX secolo. Poeta, scrittore, regista, saggista e polemista, la sua opera attraversa e scuote profondamente il panorama culturale, politico e sociale dell’Italia del secondo dopoguerra. Con la sua capacità di indagare il presente e prevedere il futuro, Pasolini ha incarnato la figura dell’intellettuale critico, capace di mettere in discussione i dogmi del potere, della modernità e della cultura di massa.

Criticismo e ostracismo: Il caso Valle Giulia

Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922, in una famiglia borghese. Già in giovane età emerge la sua natura “eretica”: rifiuta l’omologazione, critica le strutture del potere, si schiera con i più deboli. Per questo suo atteggiamento manifestatamente critico e per la sua omosessualità, fu espulso nel 1949 dal Partito Comunista Italiano per “indegnità morale” , un evento che segnerà profondamente la sua identità e il suo rapporto con le istituzioni. Egli infatti si guadagnerà l’ostracismo anche da parte di altre forze politiche di Sinistra e dei movimenti sessantottini. Famosa e scandalizzante fu la sua posizione sulle violenze registrate a Valle Giulia il 1° marzo 1968 quando si schiererà dalla parte dei poliziotti figli di proletari e contro il movimento studentesco, figli di papà borghesi nella celebre poesia “Il PCI ai giovani!!” pubblicata tre mesi più tardi.  

La scoperta delle borgate romane

Negli anni Cinquanta si trasferisce a Roma, dove entra in contatto con il mondo delle borgate. È proprio l’incontro con il sottoproletariato romano – marginale ma carico di vitalità – a ispirare i suoi primi romanzi, come Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), duramente criticati dalla politica e dalla critica ufficiale per la crudezza degli argomenti trattati, ma oggi considerati fondamentali nella letteratura italiana del Novecento.

Il cinema come denuncia

A partire dagli anni Sessanta, Pasolini approda al cinema visto come una forma d’arte totale e popolare. I suoi film sono strumenti di denuncia e di riflessione, spesso provocatori, sempre profondamente personali. Tra le opere più note che fecero scandalo e aprirono ampia discussione nel mondo culturale e politico annoveriamo: Accattone (1961), Mamma Roma (1962), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Teorema (1968) e Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). 

Nei suoi film Pasolini racconta l’emarginazione, la religione, il desiderio, la violenza del potere. In Salò, il suo ultimo film, porta all’estremo la sua riflessione sull’autoritarismo, sulla mercificazione del corpo e sull’annientamento dell’individuo da parte del potere moderno. Egli arrivò persino a parlare di “mutazione antropologica” degli italiani che stavano abbandonando le loro antiche e ancestrali tradizioni culturali sotto la forza massificante della televisione e della società dei consumi. Argomenti ancora oggi tristemente attuali.  

Una morte ancora avvolta nel mistero

La notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, Pasolini viene brutalmente assassinato all’Idroscalo di Ostia. Il delitto viene inizialmente attribuito a un ragazzo, ma le circostanze restano oscure e alimentano dubbi: fu ucciso per motivi politici? Per le sue scelte sessuali? 

Sospetti e teorie alternative che ancora oggi vengono discusse.  

Un’eredità viva

Pier Paolo Pasolini non è mai stato un autore comodo. Né per la politica, né per la cultura, né per il pubblico. Ma proprio per questo, la sua voce continua a parlare con forza, a inquietare, a risvegliare coscienze. La sua opera, poliedrica e radicale, è oggi studiata, discussa, amata e contestata. Perché Pasolini non cercava l’approvazione, cercava la verità. E chi cerca la verità, spesso, disturba.

Laura Del Casale

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