lunedì, Luglio 21

Scoperto metabolita che induce l’aterosclerosi: la prima autrice è Annalaura Mastrangelo di Castiglione Messer Marino

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Una scoperta che potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui si diagnostica e si cura l’aterosclerosi arriva da Madrid, ma ha radici in Abruzzo. Annalaura Mastrangelo, ricercatrice originaria di Castiglione Messer Marino, in provincia di Chieti, è la prima autrice di uno studio pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista Nature, che ha identificato un nuovo protagonista nella genesi dell’aterosclerosi: si tratta del propionato di imidazolo (ImP), un metabolita prodotto esclusivamente dalla microbiota intestinale.

Il lavoro, guidato dal Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) e realizzato in collaborazione con istituzioni scientifiche internazionali di primo livello, dimostra per la prima volta che l’ImP è non solo un biomarcatore precoce della malattia, ma anche un fattore causale nella formazione delle placche aterosclerotiche.

«Questo metabolita è prodotto esclusivamente da batteri intestinali», spiega Mastrangelo. «In questa ricerca abbiamo osservato che la sua presenza nel sangue è associata allo sviluppo di aterosclerosi attiva in soggetti apparentemente sani».

La rilevanza clinica è enorme. «Rilevare questo marcatore nel sangue rappresenta un grande vantaggio, dato che le attuali tecniche diagnostiche richiedono esami di imaging avanzati, complessi e costosi, non coperti dal sistema sanitario», continua la scienziata originaria del piccolo comune dell’Alto Vastese. «I livelli di ImP nel sangue offrono un marcatore diagnostico utile per identificare persone sane con aterosclerosi attiva e permettere un trattamento precoce».

La scoperta ha anche risvolti terapeutici. Iñaki Robles-Vera, co-primo autore dello studio, sottolinea: «Non solo abbiamo osservato che i livelli di ImP sono elevati nelle persone con aterosclerosi, ma che è un agente causale della malattia. La somministrazione di ImP ha provocato la formazione di placche nelle arterie in modelli animali».

Il meccanismo individuato coinvolge il recettore imidazolinico di tipo 1 (I1R), la cui attivazione da parte dell’ImP genera infiammazione sistemica, contribuendo allo sviluppo della patologia. Secondo David Sancho, responsabile del Laboratorio di Immunobiologia e leader del progetto, «questa scoperta è importante perché apre una nuova via terapeutica». Infatti, lo studio ha dimostrato che bloccando il recettore I1R si può prevenire l’azione dell’ImP e rallentare la progressione della malattia.

«Questo apre la prospettiva futura di un trattamento combinato: blocco di I1R insieme al blocco della produzione di colesterolo, con l’obiettivo di ottenere un effetto sinergico che prevenga lo sviluppo dell’aterosclerosi», aggiunge Sancho. «Stiamo già lavorando allo sviluppo di farmaci che neutralizzino gli effetti dannosi dell’ImP».

Il progetto ha ricevuto il sostegno di numerosi enti internazionali, tra cui il Mount Sinai Fuster Heart Hospital e l’Icahn School of Medicine di New York, l’Università di Göteborg, l’Università di Atene, l’Università di Heidelberg, oltre a partner scientifici in Italia, Spagna, Svezia, Germania e Stati Uniti.

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