domenica, Ottobre 12

Cinghiali, un altro no sulle reti a Punta Aderci. Il professor Maazzatenta: “Metodo cruento e dannoso”

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“Non si può autorizzare la cattura di cinghiali nella riserva di Punta Aderci con un metodo cruento e senza un aggiornamento dei dati sulla reale presenza degli ungulati”. Dopo l’Arci-caccia Chieti  è il professor Andrea Mazzatenta, docente di fisiologia al dipartimento di scienze  della D’Annunzio, a contestare l’ordinanza del sindaco Francesco Menna.

Il provvedimento firmato il 2 ottobre  autorizza la cattura dei cinghiali con i “Pig brig”, cioè con l’utilizzo di recinti mobili che si possono montare e smontare con estrema facilità e che consentono di intrappolare più esemplari contemporaneamente che verranno poi uccisi sul posto dai selecontrollori.  Una pratica ritenuta particolarmente cruenta dagli animalisti, dall’Arci-caccia e dal mondo accademico.

Nei mesi scorsi il Comune era già intervenuto nella riserva di Punta Aderci con le gabbie ed in seguito con la caccia selettiva abbattendo 95 cinghiali,  a fronte di un censimento effettuato tra il 2022 e il 2023, a cui fa riferimento il piano triennale di controllo e monitoraggio 2024-2026 redatto dal biologo Fabio De Marinis.  

“Non mi risulta che sia stato effettuato un nuovo censimento e che quindi ci siano dati aggiornati sul numero di ungulati presenti nella riserva naturale di Punta Aderci ”, afferma il professor Mazzatenta, “quindi si fa riferimento ad un censimento datato, né è stato acquisito un nuovo parere dell’Ispra da cui non si può prescindere. In pratica il Comune ha aderito ad un progetto di ricerca, finanziato dalla Regione Abruzzo  e presentato dall’Istituto zooprofilattico che da ottobre a dicembre prevede l’utilizzo sperimentale delle trappole Pig Brig, come previsto dal progetto.  Come al solito si continuano ad investire risorse su metodi cruenti che prevedono l’abbattimento degli animali e nessuno sforzo viene fatto per applicare quanto previsto dalla legge, cioè i metodi ecologici,  come la possibilità di usare dissuasori per evitare incidenti stradali e repellenti per impedire agli animali di accedere alle colture. L’unica via è quella dell’abbattimento che, soprattutto nelle riserve naturali, è una scelta che non può considerarsi né biologica, né ecologica, né tantomeno condivisibile da qualsiasi altro punto di vista. L’intrappolamento degli animali selvatici, inoltre, provoca stress”, prosegue Mazzatenta, “una volta finito il cibo i cinghiali catturati vorrebbero tornare in libertà e non potendolo fare aumenta lo stress  che porta all’innalzamento del cortisolo, per cui la carne non è commestibile, quindi non può essere utilizzata per scopi alimentari. Il metodo di cattura con l’utilizzo dei recinti è contrario ad ogni forma di sperimentazione scientifica”, conclude il docente universitario. 

La posizione espressa dal professor Mazzatenta fa il paio con quella dell’Arci-caccia Chieti che, per bocca del suo presidente Angelo Pessolano, aveva chiesto la revisione dell’ordinanza sindacale e la sospensione immediata dell’utilizzo di reti di cattura “una pratica crudele, fonte di stress per gli animali”.

Pessolano aveva sollevato anche il problema della sicurezza e messo in discussione la validità del piano di gestione. 

Anna Bontempo (Il Centro)

 

 

 

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